Una vita fa

22 01 2012

Prologo – domenica scorsa

“Ciao Papà Ovo, sabato prossimo facciamo la festa di compleanno di SF, venite anche voi?”
“Certo, come potremmo mancare alla festa dell’amica del cuore, nonché compagna di piscina, dell’Ovetta”
“Però casa nostra è troppo piccola per una miriade di Ovetti, allora la facciamo alla scuola della bimba”
“Nessun problema, quindi dove andiamo?”
“Al collegio”

“Pronto? Tutto bene? Allora ci sarete?”
“… si…certo…ci saremo”

La festa – Ieri pomeriggio

Quando la macchina ha finito la svolta a destra e si è immessa nel viale alberato, quando la facciata centrale si è mostrata alla fine del viale, quando la piccola Madonnina è stata superata, li a sinistra, ecco, allora è tornato tutto in mente proprio come se fosse passato solo un breve periodo, una vacanza, o fosse stato solo ieri.

Ma l’ultima volta che imboccai quel viale fu venticinque anni fa.

Parcheggiata la macchina in quello che era il campo da calcio in ghiaia dove tutti ci si ri-faceva più volte le ginocchia, entrati col sorriso sulle labbra (e gli occhi che si guardavano tutt’attorno) nella sala della festa, scambiate quattro chiacchere (a fatica), ecco…, assolti gli obblighi minimi di un buon comportamento,ho rimesso il giubbotto, silenzioso ho abbandonato la festa e sono uscito cominciando a vagare in un posto sperso nei ricordi in bianco e nero ed ora ben presente e vivo davanti agli occhi.

Ho rivisto le file interminabili di campi da calcio ed il cortile in terra battuta per quando si era più piccoli; ho rivisto i muretti da dove si cadeva spesso e ci si metteva in fila per rientrare in classe a due a due, ho rimesso piede nella palestra del salto in alto dove ancora ci sono i quadrati svedesi e le pertiche che tanto mettevano alla prova il coraggio (???) tra compagni, son rientrato negli spogliatoi dove bisognava fare alla svelta (certo che faccio alla svelta… fa freddo qui). Sono sceso sotto la palestra nel grande spazio per la ricreazione delle medie, tra pingpong, calcetti, e i 2 mitici biliardi; ci ho trovato anche le vecchie sedie del cinema, legno duro, nessuna concessione alla comodità ma mi sono riseduto con un senso di appartenenza.
Poi sono andato fino all’estremità della proprietà, dove avevo aiutato il maestro a costruire la casa degli Scout (non ne feci mai parte, ma mangiai castagne buonissime) ed ho trovato campi da basket la dove c’erano gli ennesimi campi da calcio; quindi, definitivamente sopraffatto, sono entrato negli edifici.

Al pian terreno ho ritrovato la mensa e il grande lavandino all’ingresso dove lavar le mani voleva dire azzuffarsi per il posto e quasi sicuramente farsi bagnare dai bimbi intorno, ho aperto la porta a fianco che ora fa sempre parte del refettorio ma che allora era il cinema (e li si sognava ad occhi aperti ogni giovedì pomeriggio), ho sorriso davanti al lungo corridoio che si faceva di corsa, tutto d’un fiato perché alla fine del corridoio c’era il cortile con i suoi campi da calcio… e se poi capitava che correndo tu inciampavi, beh, allora potevi star sicuro che tutti quelli dietro di te ti sarebbero cascati addosso. Quel corridoio oggi è chiuso, è diventato parte dell’asilo  insieme ai due saloni della ricreazione delle elementari che però, ai miei occhi restano pur sempre i luoghi dove si son tenuti immensi tornei di calcetto ed epiche finali di pingpong.

Vedo la scalinata. Il grande mosaico di un bimbo in festa nel grembiulino nero con un arcobaleno alle spalle è ancora li e diventa sempre più grande man mano che ti avvicini. Salgo le scale, credo di farlo per la prima volta senza indossare uno di quei grembiuli, ecco la serie di aule, tutte uguali ad allora da fuori, ma dentro ci son computer, non trasferelli; proiettori, non banchi col foro per il calamaio. Le pareti hanno gli stessi mosaici (che erano già vecchi allora!) e lo percorro tutto il corridoio; nella prima aula ci ho sicuramente passato un anno, nell’ultima aula anche… credo.

Poi vedo un quadro sul muro: “Anno scolastico 2005-2006” poi un’altra:”2004-2005”, poi tantissime altre per tutto il corridoio…
Corro
La cerco
La trovo
E’ in bianco e nero, un po’ sfocata dal tempo.
Tre file di bimbi, in basso, al centro, il preside e Fratel Gerardo, il mio maestro.
In alto, in centro, in piedi sull’ultima fila un bimbo guarda l’obbiettivo, nel bianco e nero della foto nessuno può sapere che indossa un maglione di lana verde con un grosso anello per alzare la zip: era il mio preferito, trentacinque anni fa.

Mi stacco a fatica, cerco di aprire una porta che da verso le aule del liceo ma è chiusa e li non riesco ad entrare; da una di quelle aule sono uscito l’ultima volta che ero qui.
Scendo e m’imbatto nel teatro e nella cappella ma quella nuova (trent’anni fa) che ha ancora la stesso velluto alle pareti, mentre di quella vecchia rimane una foto sbiadita, non c’è più la cabina del telefono (e ci mancherebbe), un poster reclamizza la settimana bianca… mi torna in mente tutto.
Dopo un po’ torno alla festa, faccio passare il tempo, ed infine è il momento di tornare a casa, allora porto tutta l’Ovetto family a fare un veloce tour fino sotto quella foto.
“Guarda Ovetta, questo è papà, tanto tempo fa”
L’Ovetta guarda bene. “Ma eli ploplio piccino piccino, ma non ela ieli?” (Caspita, eri davvero piccolo, ma quando è stato, non era ieri?)
“No tesoro, è stato una vita fa”

Epilogo – stamani ore 7,46, nel silenzio…

“Papi, papiii” chiama l’Ovetta
“PAPA’! PAPA’!” replica impaziente il Monno
“Papiiii, papinoooo” all’unisono

Si,
una vita fa.





La giostra

6 11 2011

Oggi pomeriggio, dopo la nanna, papà Ovo e l’Ovetta sono andati alle giostre.
Causa tempo uggioso tendente alla pioggia e soprattutto causa tosse imperante, il Monno e di conseguenza mamma Ova sono rimasti al riparo nell’Ovetto-house.
Siamo andati alle giostre, si diceva… le “giostre” o, come mi ricordavo tanti anni fa, siamo andati ai “baracconi”.

Come sempre i “baracconi” coincidevano con i primi freddi, umide giornate grigie come solo in pianura padana, MA come sempre i “baracconi” volevano dire luci in ogni dove, voci gracchianti agli altoparlanti che ti invitano a provare quella che era sempre la “miglior giostra”, odore di caldarroste e frittelle.
Volevano anche dire bancarelle da una parte, un mondo di gente nel mezzo e le attrazioni dall’altra, con in mezzo il “tirapugni” dove i bulli si mettevano in mostra, all’inizio il calcinculo, alla fine gli autoscontri ed in mezzo un pot-pourri di attrazioni sempre diverse (ma insuperabile fu il “Tagadà”).
Insomma volevano dire eccitazione.

Con questo in mente parcheggio l’auto, papà Ovo scarica l’Ovetta e si incamminano.
A dire il vero il tutto fa uno strano effetto: dopo un ventennio le giostre sembrano (sono?) molto piccole, alcune bancarelle striminzite da una parte sono prese d’assalto da un gruppetto di mamme e papà, dall’altra parte invece ci sono le stesse attrazioni di una volta e già per questo hanno decisamente poco fascino; insomma nulla dell’eccitazione di un tempo.
Ma cominciamo.

All’inizio si passa davanti al Brucobimbo (il trenino per i bimbi), l’Ovetta lo guarda un secondo, solo uno, poi sentenzia: “non ci voio andale”
Partiamo bene!
Poi davanti al calcinculo per bambini, papà Ovo guarda l’Ovetta e sta per aprir bocca ma viene stoppato: “Bello!…. ma non voio, plefelisco gualdale”
Passiamo alla prossima.
Ecco una coppia di bancarelline gemelle: da una parte la classica “getta la pallina nella boccia del pesce (… e portatelo a casa)”, dall’altra l’altrettanto classica “prendi al lazo la paperella e vedi cosa vinci”.
Papà Ovo glissa velocemente sulla prima temendo il primo assenso della cucciola, chiede invece alla stessa cosa ne pensi della seconda: “Bella, ma è difficile”.
Magari ci si può ragionare più tardi e si prosegue verso la fine senza ulteriori grandi eventi (tranne quando la piccola si illumina davanti ad una giostra recante in bella vista il cartello “vietato ai minori di anni 12”).
“Ora che le abbiamo viste tutte queste belle cose vuoi fare qualche cosa?”
“Si, voio quella della papelella”
E sia.
Breve istruzioni alla piccola che si arma di lazo e si concentra nella cattura delle paperelle di plastica colorate.
Non che l’Ovetta prenda delle papere a caso, nossignore; lei prende prima quella bianca, poi aspetta che ne passi una rosa, quindi aspetta quella blu, dopo quella nera che scappa e aspettiamo un giro intero e così via.
In pratica ci si impiega una bella ventina di minuti per collezionare dieci papere tutte diverse una dall’altra; però alla fine, soddisfatta, mette giù il lazo e chiede: “E adesso?”
“Ecco, vedi, sul fondo di ogni paperella c’è un numero, noi li mettiamo tutti insieme e la somma ci dice che regalo puoi avere; se la somma fa 10 puoi avere quei regali li, se fa 20 puoi prender anche uno di quelli, se fa 30 anche uno di quelli là in fondo e se fa più di 50 ne scegli uno tra tutti quelli che vedi: proprio tra tutti”
Il giostraio si avvicina, rovescia le papere, conta, strabuzza gli occhi, riconta e sentenzia: “68! Caspita, scelga pure”
Papà Ovo stenta a credere alla fortuna (!) della piccola ma si riprende subito: “Bellissimo Ovetta, adesso guarda ben bene tutti i premi e scegli quello che ti piace di più”.
Gira tutto intorno ed si ammirano bambole di ogni tipo, peluche, pistole varie, macchinine, set per cucina, ecc..ecc… ed alla fine la piccola punta il dito verso un cubetto arancione soffice che sta tranquillamente in un pugno, in pratica uno di quei premi che vengono dati a tutti i bimbi semplicemente per invogliarli a giocare.
“Ma sei sicura? Non preferisci quello scatolone nell’angolo o quelle bambole li in alto?”
“Plefelisco il dado alancione”
Segue serrata trattativa; perfino il giostraio (colto da improvviso rimorso e vergogna) cerca di convincere la piccola ad un premio un filo più importante; alla fine si raggiunge un accordo e la cucciola ottiene una fantastica borsetta finto velluto viola con faccione bendato bianco e zucca di halloween in cui mette immediatamente il suo agognato cubetto arancione.

Papà Ovo e figlia si allontanano quindi in direzione casa Ovetti.

Dieci minuti dopo mamma Ova, superato il trauma della visione della borsetta viola, chiede: “Ovetta, come erano le giostre?”
L’Ovetta ci pensa solo un secondo, poi apre un sorriso a tutto tondo ed esclama quasi senza prender fiato:
“Bellissime! Grandissime! C’elano tante bancalelle, e la giostla col bluco e quella glossa pel mamma e papà, poi c’ela quella dove andavi veloce veloce e quella che andava in alto ma con i bimbi glandi pelchè quelli piccoli non potevano; io ho pleso le papelelle e ho vinto il cubetto e sono stata una campionessa e c’elano le luci e anche i cagnoloni. Ela bellissimo!”

Forse papà Ovo ha sbagliato.
Forse le giostre sono proprio come ventanni fa.
Forse i baracconi vogliono ancora dire eccitazione.





Empty sky

11 09 2011

Mi butto sulla sedia, non ne posso più. Sono sfatto, sfinito. Mauro, il mio collega, mi si avvicina. “Allora? Com’è andata?”
Io sto cincischiando con internet, che sembra non andare, traccheggio, finisco di bere un po’ d’acqua. “Bene, credo. Bus è in gamba, quello che dice è interessante, potrebbe davvero aiutarci, ma è qui dalle 7,30 ! Io non le reggo otto ore di inglese misto americano slang con accenti olandesi, ho bisogno di una pausa”
Ride, “dove l’hai lasciato?”
“Sala azzurra, secondo piano, doveva chiamare non so chi, credo il suo capo americano. Aveva una teleconference”

BIP BIP. “Mauro, ancora con questi sms automatici? Guarda che ti spillano un sacco di soldi, disdicili”
“Una bomba a New York! Su una delle torri gemelle”
“Cavolo, aspetta, guardiamo il Corriere on line”


“Non va, provo la Repubblica, …

non va nemmeno la Repubblica, prova la Cnn,…

nemmeno questa, prova l’Ansa…

non va, non va nulla!”
“Andiamo al CED, li hanno una portante internet”
Scendiamo insieme, l’ufficio computer è lontano un centinaio di metri, chiaccheriamo tranquilli.
BIP BIP.

Ci fermiamo.

Mauro guarda lo schermo.

“Anche l’altra”.

Corriamo al CED, entriamo di volata “Ci dai un sito di News per favore?”
Sguardo interrogativo, “…’Che non potevate guardarvelo voi? Comunque…. Oh! Non va. Aspetta, provo un altro sit… oh! Non va nemmeno questo, ma che…:”
“Lascia stare, hai una radio?
“Si, che stazione vuoi?”
“Credo che una qualsiasi andrà bene”

 

Non so quanto tempo ci fermammo li dentro, alla fine, in pratica, eravamo tutti li.
I megadirigenti, i turnisti, gli operai, le cuoche, i venditori, tutti in silenzio, intorno ad una radiolina da quattro soldi circondata da una montagna di (inutili) monitor.
Qualcuno ogni tanto telefonava a casa, qualcun altro semplicemente se ne andava a casa,… tanto di lavorare non se ne parlava proprio e i telefoni erano diventati tutti muti.
“Ohi, mi sa che devi andarlo a dire al tuo ospite”
“Gulp! Me lo sono dimenticato” Schizzo al secondo piano, busso alla porta, non aspetto la risposta, entro, apro la bocca ma non mi da tempo di parlare.
“Hi, something wrong here; I’m not able to make any phone call!”
“Bus, sorry, can I ask you where is based your Boss?”
“Why? Howether he’s in NY”
“Where, exactly?”
“What’s change! Come on! Phone is not working”
“Please”
“Downtwon. Why?”
“Bus, sit down, I have to say you something”

 

Questo pomeriggio, mentre scorrevano le immagini celebrative, l’Ovetta sistemava per terra le sue figurine dell’Esselunga mentre l’Ovetto rincorreva la palla rosa che continua a scappargli via.
Dieci anni dopo non è ancora tempo di dover spiegare loro cosa successe quel giorno; ma verrà il momento.

 

Sono stato a Manhattan 3 volte; la prima nel settembre 1999; le foto in testata e questa qui sotto risalgono, chiaramente, a quella volta.

 

September 1999

 

Per la cronaca: il capo di Bus era semplicemente scappato a casa scordandosi il cellulare; lo scoprimmo il giorno dopo.